Wednesday 10 November 2010

BORDI, FARNE' AND CO.

In questa foto, di Jacopo Iacchetti, non entrano tutte le parole possibili che dovrebbero essere dette. C'è tutto un mondo da osservare con rispetto, la nascita di una moto, un nuovo corso in cui accadeva un cambio generazionale, che come al solito non è stato indolore. Credo che poche persone conoscano cio' che questa immagine cela, uno scontro tra chi voleva in Ducati un 4 cilindri, e chi creo' invece il 4 valvole bicilindrico che poi partecipo' repentinamente al Bol d'Or ....gli anni credo siano a cavallo del 1985-86, in cui si creo' un po' il futuro dei motori della Ducati. Ma chissa', se Bordi avesse dato retta a Taglioni, forse oggi avremmo potuto avere nei nostri garage una Desmosedici a 16mila euro.... a seguire una intervista a Bordi di molti anni fa, non tanti, custodita e tramandata da Claudio Falanga estratta da una rivista italiana ( Moto Italiane), che credo sia molto interessante per capire di cosa stiamo parlando e di cosa parleremo...ovviamente cercheremo con ansia, se esiste, una intervista di Taglioni, per capire il contropunto di vista del Grande.
Saluti a tutti


"...Non poteva mancare su “Moto Italiane” un’ampia intervista all’Ing. Massimo Bordi, uno dei personaggi chiave della storia della Ducati L’appuntamento in Ducati è anche l’occasione per portare il primo numero della rivista alla visione di tutto lo staff dirigenziale. Forse è proprio merito di “Moto Italiane”, dalle cui pagine molti hanno rilevato la sincera passione che ci muove, che l’Ing. Bordi instaura un dialogo di estrema franchezza e confidenza. Noi non abbiamo voluto modificare niente, neanche il linguaggio diretto (di chi racconta a viva voce) per rendere voi lettori partecipi sul campo, di questo incontro fra ducatisti.

L’Ing. Massimo Bordi rappresenta la continuità fra la “vecchia” Ducati ed il nuovo corso. Un’avventura iniziata, cosi come per altri grandi dei motori, durante l’adolescenza.

“Fin da ragazzino avevo la passione dei motori. Avevo uno zio con un’officina meccanica e passavo molto tempo da lui.” Ci racconta mentre lo sguardo severo dei primi approcci si stempera. “La mia prima moto fu una lambretta, poi mi innamorai perdutamente di un Ducati 175 e credo che sia stato proprio questa a farmi arrivare in fabbrica. Questa moto la vidi da un meccanico in riparazione dove mi dissero che ce n’era un’altra da un contadino “buttata insieme alle galline”, ed io l’acquistai per 10.000 lire. La rimisi a nuovo con l’aiuto di un mio amico meccanico. Era una moto bellissima dal punto di vista meccanico ed estetico, con il suo motore con tutte quelle alette di raffreddamento sulla testa.” I genitori di Massimo Bordi ancora non capivano le potenzialità di loro figlio. “In quegli anni smontavo le moto e i motori in casa e mia madre si arrabbiava molto.” Ma non tardarono a realizzare. “In seguito mi iscrissi a ingegneria meccanica a Bologna, continuando a coltivare l’hobby dei motori.” Ma anche Bordi motociclista si faceva strada “ In quel periodo da studente ebbi un Ducati 200 Elite che trasformai, sempre per divertimento, in scrambler.” La fine degli studi fu la chiave di volta: “Arrivato all’ultimo anno di università decisi di telefonare in Ducati per fare una tesi sul quattro valvole desmo. Il quattro valvole desmo mi affascinava anche perché avevo la passione dei motori automobilistici di formula uno, e in quel tempo c’era la Cosworth con motore quattro valvole che faceva faville e batteva le Ferrari a tre valvole. Allora si parlava delle grandi prestazioni dei quattro valvole e di quanto questi motori fossero innovativi. Quindi, piacendomi l’idea del desmo, pensai di metterlo assieme al quattro valvole.” Il sogno di conoscere il mitico Ing. Taglioni, cullato fin da ragazzo, si realizza ed è subito collaborazione fra due menti geniali.
“Andai in Ducati dall’Ing. Taglioni a chiedere se poteva aiutarmi a fare questa tesi. Lui mi dette un disegno di una testa di un cinquecento quattro valvole ad aria che aveva fatto a doppia candela e ad angolo grande. Questo motore però non era andato troppo bene appunto per l’angolo tra le valvole troppo largo. Io gli proposi invece di fare una testa ad angolo stretto a 40 gradi, come quella che poi misi in produzione quando diventai direttore tecnico in Ducati. In sostanza il mio progetto, con questo angolo fra le valvole e la candela centrale, somiglia molto al motore che equipaggia gli attuali quattro valvole Ducati.” Gli obblighi di leva ed alcune esperienze lavorative li divisero temporaneamente, ma per poco. “Presa la laurea nel 1975 feci il militare, poi un anno in un’altra ditta e nel 1978, dopo aver partecipato ad uno stage in Ducati con Taglioni, entrai in azienda lavorando, invece che sulle moto, sui motori diesel. C’erano due gruppi di progettazione separati fra moto e diesel, ed io stetti due anni in questo secondo gruppo. Poi nell’80 cominciai a lavorare anche sulle moto e nell’82 divenni direttore tecnico del settore diesel e moto. Nel periodo dall’82 all’85 feci la modifica del motore coppie coniche 900 portandolo a 1000 con le bronzine e lo sviluppo della serie Pantah 500, portata a 600, 750 ed in versione da corsa a 860 cc per la Parigi-Dakar e la velocità. Fu un peccato non riprendere in seguito il coppie coniche, di cui facemmo solo 1000 esemplari, ma scegliemmo di produrre il grosso Pantah 900 che veniva a costare il 40% meno ed andava meglio. Ritornando all’82 facemmo molte moto cercando di contenere gli investimenti, come la 900 S2 e la 1000 S2, fatte con lo stesso cupolino del Pantah. Cercavamo, ovviamente per motivi economici di far le nozze coi fichi secchi. Poi la 600TL e la 350TL.” Si entra nel vivo della rinascita Ducati con l’ingresso dei fratelli Castiglioni: “Ma le più interessanti furono la serie F1 con la Montjuich e il Santamonica. Queste moto furono prodotte a cavallo dell’84/85, quando subentrarono i Castiglioni. Prima della primavera ‘85 non dovevamo fare motociclette, come d’accordo con i proprietari della Cagiva, ai quali avremmo dovuto fornire solo i motori, e le trecento che producemmo non fecero certo piacere.

Realizzammo il Paso, moto fondamentale per la Ducati e poi passammo all’851.” La realizzazione dell’851: una corsa contro il tempo. “Costruimmo il telaio di questa moto io e Franco Farnè in un agosto, senza fare le ferie. Usammo un’officinetta in Ducati e con un filo, uno spago ed un meccanico a saldare, lo realizzammo. La modifica fondamentale rispetto al telaio dell’F1 era che su questo i tubi passavano sopra la testa (quindi era una gabbia), noi cercammo di irrigidirlo passando intorno alla testa verticale.” Ci indica la foto incorniciata sopra la sua scrivania: “In quella foto c’è tutta la storia odierna dell’azienda: c’è un motore innovativo, con le teste della formula uno, l’iniezione della formula uno, il raffreddamento della formula uno, poi si vede un martello, una pinza e lo scotch, che sono tutte le cose della Ducati nell’86. In sostanza si vede l’innovazione tecnologica in un’azienda come la Ducati che in quegli anni era ancora casereccia. Quello che è la Ducati oggi, nasce in quella foto.” Gli occhi di Massimo Bordi si illuminano di orgoglio ed il racconto si accende di passione. “Il motore fu una scommessa incredibile, fatta da me, Farnè e Mengoli. Prendemmo dei rischi incredibili perché facemmo i disegni a Pasqua, mettemmo il motore al banco prove in luglio, facemmo il telaio in agosto ed andammo al Bol D’Or in settembre. Fu una pazzia che mi rifiuterei di rifare, con gli strumenti di allora, ma anche con quelli di oggi. Sono cose che si fanno una sola volta nella vita.” L’avventura sportiva ai massimi livelli era cominciata: “Tornati dal Bol D’Or aumentammo la cilindrata a 851 e a febbraio lo mettemmo al banco. Con la modifica di alesaggio, con valvole e compressione riviste, siamo arrivati a 110 cavalli. Quando Farnè vide questa misura quasi si commosse.” Ma la produzione accusava ancora qualche inconveniente.

“Nell’851, poco prima di andare in produzione, avevamo ancora così tanti problemi da mettersi le mani nei capelli. I primi 500 esemplari con le ruote da 16” della Paso e la carrozzeria così così, non erano certo perfette, ma le successive cominciarono ad essere veramente belle.” E’ però l’evoluzione dell’851 la moto a cui Bordi dedica le parole più sentite. “L’888, dove intervenne anche lo stilista Pierre Terblanche, era già ad un livello elevato. E poi quando vinci i mondiali hai detto tutto. Questa moto è fra quelle a cui sono più affezionato. E’ veramente una Ducati, anche se la 916 è la moto più bella del mondo.” Il sogno dell’Ing. Massimo Bordi si è realizzato, da una tesi di laurea alla rinascita di una grande azienda. Da progettista a direttore tecnico, fino ad arrivare, alla carica che ricopre ora, di direttore generale. Il giovane laureando di strada ne ha fatta da quell’incontro con Taglioni; anni, progetti, giornate di lavoro senza orario, ma anche discussioni. “Con Taglioni ho avuto anche tensioni forti, il cambio di generazione porta spesso dei problemi che spero non ci saranno alla mia successione con quelli che mi seguiranno. Quando sono entrato avevo il mito di Taglioni e quando all’inizio non ho potuto lavorare con lui mi è dispiaciuto. Poi però sui motori diesel ho imparato molte cose che sono servite sulle moto, perché se abbiamo incominciato a fare moto affidabili e di qualità è il risultato di questa esperienza. E’ una questione di metodo: in Ducati c’era una cultura di moto da corsa e non di moto da vendere. Per cui le moto che facevano Taglioni e Farnè per le gare andavano bene, poi però la produzione era un disastro. C’era uno scarso legame tra ricerca, sviluppo e produzione. Per questo motivo si diceva: Ducati soldi...”

Si interrompe Bordi, finire la frase, oggi che le Ducati sono pezzi da collezione anche se appena sfornate, è quasi un sacrilegio. Il racconto ha parole di elogio per il maestro, anche se ora l’allievo può raffrontarsi alla pari. “Taglioni ha generato buone idee, ma non si è mai rapportato nel modo giusto con l’azienda perché questa diventasse un sistema che crea profitti, funziona e rende. Ha avuto grandi intuizioni, come il desmo ed il motore bicilindrico ad L, poi però non ha dato all’azienda i contributi necessari (che comunque deve dare un direttore tecnico) perché questa funzionasse. Questo è stato il suo limite, insieme al non sapersi raffrontare con la nuova generazione.” Proprio il cambio generazionale, ed il carattere fiero da vero romagnolo di Taglioni ha creato qualche problema: “Non era favorevole al due cilindri quattro valvole, anche perché in quel periodo voleva fare il quattro cilindri.

Riteneva che le due valvole erano il meglio, anche se credo che in queste sue posizioni ci fossero gli aspetti umani e nostalgici di cui parlavo prima.” Massimo Bordi fa tesoro di quanto imparato e attua un suo programma produttivo: “Sono diventato direttore tecnico nel 1982 e tutto quello che è stato fatto da allora è dipeso da me e da nessun altro.” Sulle prime i dubbi non erano solo dell’Ing. Taglioni. “A quel tempo, di fare un bicilindrico che potesse battere le quattro cilindri ci credevo solo io. Anche Farnè non era molto convinto del quattro valvole, poi quando vide 110 cavalli, prese il due valvole, lo mise in un cantone ed incominciammo a lavorare.” Un progetto tutto nuovo, anche se lo schema ad L rimane inconfondibile. “Tra il motore della quattro valvole di oggi e il Pantah non c’è un pezzo in comune. La testa è diversa, l’imbiellaggio è diverso. E’ un altro motore. Poi un motore è fatto dalla sua termica, è non solo dalla sua geometria.”

Bordi non dimentica però che nella continuità fra passato e presente risiede il futuro della Ducati.

“Direi che le tappe fondamentali della Ducati si possono riassumere nei modelli Marianna, il primo motore desmo; lo Scrambler, che praticamente ha anticipato la moda degli enduro; la serie SS 750 coppie coniche nel Tourist Trophy di Hailwood, che con Smart vinse ad Imola; la serie Pantah e la serie F1 con le relative derivazioni; il Paso, che ha rilanciato la produzione, poi la serie 851/888, la Sport/ Supersport, il Monster e la 916.”

Nonostante il ruolo al massimo livello nell’azienda, l’ing. Massimo Bordi non dimentica di essere anche un motociclista: “Sono sempre andato in moto fino a 7/8 anni fa, poi mi sono rotto prima una clavicola, poi un polso e ho smesso di usarla con la stessa frequenza, ma quando posso ci vado ancora".

Ora ci sono nuove sfide da affrontare, un nuovo assetto societario, dove i fratelli Castiglioni non hanno più (per il momento) il controllo totale della Ducati. Per loro Bordi ha parole di elogio.

“Il grande merito dei fratelli Castiglioni è stato quello di credere in questa azienda, prenderla in mano e salvarla. Se non fosse per loro questa fabbrica ora sarebbe un capannone dimenticato ed avremmo scordato la Ducati e la sua storia. Hanno investito in questa impresa e negli uomini che c’erano, dandogli la possibilità di fare l’851 e tutto quello che l’ha resa famosa. Claudio è quello che ha insistito di più perché il motore quattro valvole fosse ancora desmo, anche se era un progetto non facile. Come è stata una tappa importante l’ingresso dei Castiglioni, allo stesso modo è importante l’ingresso degli americani. Esiste un tempo per ogni cosa: i Castiglioni sono entrati quando la Ducati stava diventando un capannone dove assemblare i motori diesel, e gli americani sono arrivati in un momento in cui, per ragioni esterne alla Ducati, questa poteva morire.

Due salvataggi somiglianti, fatti per ragioni diverse in tempi diversi.” Sulle differenze fra le due gestioni Bordi ha le idee ben chiare: “La differenza sta nel fatto che i Castiglioni entrando sono intervenuti personalmente con quello che ci può essere di positivo o negativo nella cosa, gli americani si sono affidati ad un management delegando completamente la gestione dell’azienda. Hanno scelto un approccio più asettico e moderno.” Ma nella sostanza lo staff tecnico rimane invariato.

“Gli uomini della Ducati sono gli stessi: io, Farnè, Mengoli, Domenicali.” Ma secondo Bordi una nuova logica era necessaria. “Esistono dei limiti nella gestione imprenditoriale all’italiana, che sono la dimensione dell’azienda. Finché questa è piccola, un imprenditore intelligente può anche gestire le cose. Quando un’azienda supera certe dimensioni o passi alla gestione manageriale, basata sulla delega, o l’impresa non va avanti più e si blocca.” I fratelli Castiglioni rimangono però nel cuore dei Ducatisti di tutto il mondo: “Un vantaggio era l’immagine e l’approccio istintivo che legavano i Castiglioni ai clienti.” Ma per Bordi lo stato attuale è veramente inevitabile. “Il futuro delle aziende, ripeto, è basato sulla delega. L’arrivo degli americani porta intanto il dato positivo di un investimento per il triennio 97/99 di 75 miliardi, il massimo impulso mai impresso da quando questa azienda è nata. Il fatto che l’azienda abbia azionisti diversi e che la gestione sia in mano ai manager va vista in positivo, perché è un’occasione di crescita.”

Non è solo un mero calcolo economico. “Quando parlo di gestione manageriale non dico di dimenticare il cuore nel fare le cose. L’aspetto umano, viscerale, va valorizzato riuscendo ad avere una gestione più razionale.” E gli aspetti positivi, soprattutto sul fronte dell’occupazione, si vedono da subito: “Abbiamo assunto 180 persone in quattro mesi, ed arriveremo a 700 persone in fabbrica, per la fine di quest’anno.” Miglioramenti anche dal fronte della qualità e della quantità delle moto prodotte, con una sfida diretta alle case giapponesi: “L’impegno maggiore in questi mesi è stato concentrato sull’aumento di capacità produttiva, sull’innovazione (come testimonia il nuovo ufficio tecnico) e la qualità. La nuova ST2 rappresenta una grossa sfida per il settore in cui si va a scontrare.”

L’intervista all’Ing. Massimo Bordi si chiude proprio con la descrizione della nuova nata in casa Ducati (la cui prova apparirà nel prossimo numero), una moto sulla quale c’è molta attesa per la divagazione in un settore non sportivo, come quello delle gran turismo, da parte della casa motociclistica sportiva per eccellenza. “Non si pensi che la ST2 sia una semplice gran turismo. E’ una belva travestita da agnello. Il telaio è quello del 916, la sospensione è quella del 916, il motore di 950 cc ha una potenza di 80 CV. Sarà comunque una moto godibile. L’anno venturo dovrebbe uscirne anche una versione quattro valvole.” Abbiamo capito: filo da torcere per le jap anche da una Ducati con le borse..."